Da tre anni vivo un una casa dalla quale ho ereditato: un enorme vasca con dei pesci rossi, una gatta bianca dal nome Celestina e Nina.
A distanza di tre anni le cose sono cambiate: i pesci rossi sono morti, Celestina si è suicidata e io non mi sento tanto bene.
E Nina? Chi è Nina? C’è chi la chiama colf, chi la chiama domestica, chi la chiama donna delle pulizie… io la chiamo: LA PADRONA DI CASA. Proprio così! Con l’articolo determinativo e tutto maiuscolo.
Nina lavora in questa casa, che sento mia solo quando devo pagare le bollette, da più di trent’anni.
Arriva puntuale ogni lunedì, mercoledì e venerdì mattina e a me tocca trascorrere la domenica, il martedì e il giovedì a pulire e sistemare affinché lei non abbia nulla da ridire. Spesso, penso di non farcela e che sarebbe il caso di chiamare una colf.
Nina, che sembra Heather Parisi mora e con la sciatica, fa tutto quello che non deve fare e non fa nulla di tutto quello che le viene chiesto. E poi parla, parla, parla… un siciliano talmente stretto che io non capisco, capisco, capisco. Parla come Montalbano che si è mangiato Don Lurio e il suo tono di voce è quello di un tizio a 50 metri da te che prova a dirti qualcosa durante un concerto di Bruce Springsteen.
Di tutti i miei viaggi non ho ricordi ma frammenti. Sì, frammenti! Lei rompe tutto e poi dice che la colpa è mia perché metto gli oggetti nel posto sbagliato.
Se mi distraggo o mi allontano, anche un solo istante (cosa inevitabile dovendo lavorare), lei cambia la disposizione: dei mobili, dei quadri, delle piante… anche dei vicini. Io, prima, non li avevo dei vicini così rumorosi.
In camera da letto ci sono delle lettere che formano la scritta: LOVE. Quando passa Nina, l’amore finisce e stendiamo un VELO… pietoso.
No, non è il Cartesio della telecomunicazione; è mia mamma. Se al secondo squillo non rispondo al telefono, lei dichiara l’ora del decesso. Al secondo squillo, mia mamma viene impossessata dall’animo della Sciarelli e ipotizza ogni tipo di sciagura che possa essermi successa. L’andare avanti degli squilli segna inesorabilmente la mia dipartita. Al terzo squillo me la cavo con il femore rotto, al quarto con una commozione cerebrale ma dal quinto squillo in poi è morte certa. La situazione cambia se trova il telefono spento: mi hanno rapita. Passi il femore rotto, la commozione cerebrale e la morte ma chi avrebbe interesse a rapirmi e perché? Cosa mi nasconde mia madre… in banca? Quando dopo il suo ennesimo tentativo di riportarmi in vita con l’ennesima chiamata rispondo, non è contenta di sentirmi, anzi… inizia ad urlare e inveire contro di me perché la stavo facendo morire. E lei?! Lei che mi fa morire e rapire più volte al giorno?! Una volta ha urlato talmente tanto che per calmarla ho dovuto dire: “Abbassa la voce che i miei rapinatori ci sentono!”.
Dai 0 ai 10 anni per avere il patentino di bambina devi dire che vuoi fare la cantante o la ballerina. Non si è mai vista una piccola donna nana dire: “Voglio fare l’avvocato e avere la partita IVA”. Sarebbe da ricovero immediato, anche a 40 anni, in realtà.
Quindi, diedi sfogo alle mie velleità artistiche dopo essere uscita dal grembo materno, dove mi spostavo da una parte all’altra come Mastella con il tutù, davanti allo specchio.
A sei anni, mia mamma tolse tutti gli specchi da casa e mi iscrisse a scuola di danza classica. L’insegnante era una donna sui 70 anni (forse 50 ma da bambini, si sa, superati i 20 anni sono tutti vecchi) con la stessa agilità nei movimenti di Sergio Mattarella colpito da sciatica. Stava ore ed ore seduta su una poltrona facendo roteare un lungo bastone di legno che scagliava contro la malcapitata di turno che sbagliava un passo. Dopo pochi mesi, roteai i tacchi e abbandonai la scuola.
Ci provai con il canto. La mia carriera ebbe inizio e si concluse da corista. Durò più della danza e sarebbe stata longeva se non mi fossi stancata di aprire e chiudere la bocca senza emettere suoni. Stavo al canto come Alfano al Parlamento ai tempi d’oro di Berlusconi. Quando abbiamo aperto bocca è finita.
Ma passiamo alla terza nota dolente, soprattutto per il portafogli di mio padre: IMPARARE A SUONARE. Inizialmente feci comprare: flauto e diamonica. Stancatami di sputare, passai alla chitarra classica, elettrica, alla tastiera, al pianoforte, al violino…mancava solamente Peppe Vessicchio e l’orchestra sarebbe stata al completo. Per ben due anni, due giorni la settimana, dalle 17 alle 19 arrivava a casa l’insegnante di chitarra. Sembrava uno dei Gispy Kings in incognito ma lo tradivano le camicie hawaiane comprate al mercato con la promozione “prendi una e ti regaliamo tutte le altre”. Dopo mesi di solfeggio, arrivi ad impugnare lo strumento che già ti sei rotta i coglioni. Il solfeggio è la burocrazia della musica, è come il preliminare prima del sesso per gli uomini: un’estenuante perdita di tempo. Assolte le pratiche burocratiche, il Gipsy Kings dell’INPS mi sottopose un repertorio musicale risalente a quando la regina Elisabetta era ancora in fasce e Berlusconi non aveva ancora problemi di prostata. In due anni imparai il giro armonico di do. Puoi suonare il 90% delle canzoni se lo conosci, ma io conoscevo solo canzoni di merda.
Partecipai anche al film di un mio amico. Quel film rimaste la sua unica opera incompiuta
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Tutto fu un fallimento. Una disfatta totale. Ero la grillina dell’arte.
Abbandonate le mie velleità artistiche, avrei potuto comunque fare grandi cose ma mi sono laureata.
Tutto è relativo. Ho visto uomini di un metro e ottanta più alti di me e uomini di un metro e ottanta più bassi di me. Qualcuno ha mentito e qualcosa mi dice che potrebbe continuare a mentire su altri centimetri.
Sono una persona molto tollerante. Ho molti amici che mangiano il tofu e giocano a padel
“Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua grazie al reddito di cittadinanza”
Tutti hanno questo impellente bisogno di raccontare i fatti propri, che sia su un social o sul qualsiasi mezzo pubblico, soprattutto se seduti accanto a me
Sono l’anima delle feste, nel senso che non vedrete ballare il mio corpo ma la mia anima
Sono perennemente in anticipo. L’unica volta che sono arrivata in ritardo è stata quando sono nata. Credo perché non trovassi nulla da mettere. E infatti sono uscita nuda.
Non posto mai in tempo reale la foto del posto in cui mi trovo, da quando un ragazzo mi individuò in spiaggia a Cefalù grazie al colore dell’ombrellone. Era il parcheggiatore abusivo corso ad avvisarmi della multa alla macchina. Adesso faccio collezione di multe.
Gli amori impossibili durano in eterno perché non si ha la possibilità di capire quanto sia coglione l’altro.
I primi dieci secondi dopo il suono della sveglia penso che dovrei prendere un giorno di ferie. Le restanti 23 ore 59 minuti e 50 secondi penso che dovrei cambiare lavoro. Mi sveglio ottimista insomma.
C’è sempre qualcuno a ricordarmi ciò che posso o non posso fare perché “Hai una posizione”. Inizio ad avere il vago sospetto che questa posizione sia ad angolo retto. E adesso ho capito cosa si intende per retto.
Quando sono tentata dal non andare a lavoro mi dico “Faranno a meno di me. Nessuno è indispensabile”. Poi ricordo che sono l’unica ad avere le chiavi. Nessuno è indispensabile, tranne chi ha le chiavi.
Da quando una collega mi ha dato il suo indirizzo di posta elettronica “cerbiatta scalciante” ho sempre paura di chiedere l’indirizzo e-mail. Non sai mai che animale possa nascondersi dietro.
Sono molto interessanti gli uomini assorti nei loro pensieri che si accarezzano la barba. Chissà se anche gli uomini senza barba pensano. Adesso mi scriverà un uomo senza barba risentito e sarà la prova che non pensano, altrimenti avrebbero capito che si tratta di una battuta.
Una volta un milanese mi disse: “Dal tuo modo di lavorare, non sembri siciliana”. Voleva essere un complimento. Non aveva la barba.
Vorrei dire alle donne che è la barba che rende più belli. I baffi non funzionano!
Ordini sempre capi d’abbigliamento su cataloghi indossati da modelle sexy, in posizioni improbabili. Una sembrava facesse il bidet. È per questo che non vado mai in Francia. Non saprei cosa mettere.
A casa mia c’è talmente tanto freddo che Greta Thunberg si è ricreduta.
Si chiama lattuga icerberg perché quando la lavi, da novembre a marzo, ti si incaglia il Titanic tra le dita.
Credevo fossero sempre tutti infervorati con me. Poi ho riportato a 1 la velocità delle note vocali su whatsapp
Un tizio una volta mi disse: “Hai gli occhi di un cerbiatto appena nato”. Amico mio, sapessi che ne ho anche l’andatura dopo 10 ore sui tacchi.
In Sicilia continua a piovere da così tanto tempo che non mi stupirei se si togliesse la maschera e dicesse “aò! so la Lombardia”.
Il dermatologo ha detto che mi cadono i capelli perché sono stressati. Non lo trovo un atteggiamento maturo. Anch’io sono stressata ma non mi butto sul pavimento.
Compro cose che reputo indispensabili fino al momento della consegna. La friggitrice ad aria non ricordo per cosa fosse indispensabile.
“Sembri molto più piccola”. È un chiaro segno che sei molto più vecchia.
Una volta feci Milano-Roma in macchina e mi persi. È una bufala la storia che tutte le strade portano a Roma.
Invidio quelli che sono bravi a letto. E per bravi a letto intendo quelli che si addormentano subito. Io sono bravissima sul divano.
Su Netflix dovrebbero fare la categoria: film per dormire.
Quando mi chiedono:”Guarda il mio film e dimmi cosa ne pensi”, avverto la stessa responsabilità di Alessandro Borghese ma a stomaco vuoto.
Il 99% delle crisi matrimoniali confessate a una persona su un social, finiscono quando quella persona dà il due di picche.
Ho aperto Instagram ed ho capito perché c’è la fila nei camerini di Zara.
Vedo gente in giro vestita talmente male da pensare che siano quelli che vanno da Zara perché non hanno uno specchio in casa.
Dopo i trenta, a noi donne, la mutua dovrebbe passare: bava di lumaca, acido ialuronico e il numero di un chirurgo o di uno psicologo.
Ci sono giornate in cui non sappiamo se abbiamo a terra il culo o l’umore e solitamente il crollo del primo, determina il crollo dell’altro. Non è detto che succeda anche viceversa.
Davanti alla Somatoline siamo come Paolo Brosio a Međugorje: speriamo nel miracolo.
Siamo disposte a provare di tutto: crema giorno, crema notte, crema pomeriggio, crema lifting, crema ristrutturante, rassodante, ringiovanente, crema chantilly…alla fine non sappiamo se andiamo messe in forno o in frigo.
Usiamo più maschere noi di Jim Carrey o Joaquin Phoenix e dopo il terzo strato di fondotinta, potrebbe nascondersi anche Pierfrancesco Favino.
Nel tentativo di combattere la nemica delle donne, che non guarda in faccia nessuno ma al primo accenno il culo te lo guardano tutte: la cellulite, ci sottoponiamo a trattamenti di ogni genere. Alla fine di una seduta di criolipolisi, non sappiamo se tra le cosce sia rimasto attaccato l’iceberg o aggrappato Di Caprio. L’unica certezza è che la cellulite è ancora ben salda come Rose che vede Di Caprio morire insieme alle nostre speranze.
Stremate e sconfitte, dopo questa guerra, come Napoleone dopo la campagna di Russia, ci accettiamo perché sono finiti i soldi e l’effetto del botox.
Da bambine vi hanno sempre ingannate: Cenerentola doveva rientrare a mezzanotte, non perché la carrozza si sarebbe trasformata in zucca ma perché, esaurito l’effetto del filler, si sarebbe trasformata in cozza, sarebbero cadute le ciglia finte e la mutanda contenitiva avrebbe iniziato a dare fastidio.
Io, adesso, quando mi guardo allo specchio mi vedo bella. Poi metto le lenti a contatto.
Ho un problema con i pacchi. Grandi o piccoli che siano mi lasciano sempre delusa. Solitamente sono i pacchi degli uomini a deludermi! No, non pensate male! Le donne solitamente prima di farti un regalo ti studiano, ti osservano, analizzano… gli uomini si accertano solamente che tu abbia le tette e un culo e la loro fatica finisce lì.
Il primo uomo a deludermi fu Babbo Natale quando non mi fece trovare nessun pacco con dentro uno dei regali che avevo elencato su un foglio rosa con un disegno che lo rappresentava. Il disegno faceva veramente schifo ma non è che puoi vendicarti così alla tua età!
Il pacco peggiore è quello con dentro un profumo. Lo riconosci subito perché puzza di “non sapevo cosa regalarti, che Dior mi aiuti!”.
Io non amo le collane e indovinate qual è stato il primo regalo che ogni uomo mi ha fatto? Esatto! Una COL-LA-NA! Ma non lo vedi che non le porto?! Non vedi che sono il Maurizio Costanzo delle collane?! Non vedi che sono lo shar pei cinese dei collier?!
Io però rimango delusa anche quando arriva il corriere Amazon e mi porta quello che avevo ordinato. Scarto quei pacchi quasi con la speranza che mi sia arrivato l’ordine di un altro, magari una collana o un dopobarba, e invece è proprio il mio pacco con quello che avevo accuratamente scelto, cliccato, “aggiungi al carrello”… e via! Delusione.
I pacchi, lo dice il termine stesso, sono una delusione allora meglio le buste dei nonni che non deludono mai.
Da tre anni vivo un una casa dalla quale ho ereditato: un enorme vasca con dei pesci rossi, una gatta bianca dal nome Celestina e Nina.
A distanza di tre anni le cose sono cambiate: i pesci rossi sono morti, Celestina si è suicidata e io non mi sento tanto bene.
E Nina? Chi è Nina? C’è chi la chiama colf, chi la chiama domestica, chi la chiama donna delle pulizie… io la chiamo: LA PADRONA DI CASA. Proprio così! Con l’articolo determinativo e tutto maiuscolo.
Nina lavora in questa casa, che sento mia solo quando devo pagare le bollette, da più di trent’anni.
Arriva puntuale ogni lunedì, mercoledì e venerdì mattina e a me tocca trascorrere la domenica, il martedì e il giovedì a pulire e sistemare affinché lei non abbia nulla da ridire. Spesso, penso di non farcela e che sarebbe il caso di chiamare una colf.
Nina, che sembra Heather Parisi mora e con la sciatica, fa tutto quello che non deve fare e non fa nulla di tutto quello che le viene chiesto. E poi parla, parla, parla… un siciliano talmente stretto che io non capisco, capisco, capisco. Parla come Montalbano che si è mangiato Don Lurio ma senza cabbasisi. E io sono ai suoi ordini come Catarella.
Di tutti i miei viaggi non ho ricordi ma frammenti. Sì, frammenti! Lei rompe tutto e poi dice che la colpa è mia perché metto gli oggetti nel posto sbagliato.
Se mi distraggo o mi allontano, anche un solo istante (cosa inevitabile dovendo lavorare), lei cambia la disposizione: dei mobili, dei quadri, delle piante… anche dei vicini. Io, prima, non li avevo dei vicini così rumorosi.
Una volta ha osato contestare che gli alberi di arance, quando non c’ero ancora io, facessero più frutti, costringendomi a comprare Kg e Kg di arance da mettere in un’enorme cesta di vimini per poterle dire:”Nina, guardi quante belle arance ho raccolto!”. Poi ho scoperto che non erano gli alberi a non fare i frutti in mia presenza ma lei a raccoglierli, senza dire niente, in mia assenza.